martedì 22 gennaio 2013

Stefano Bollani. Parliamo di musica




"Il teatro e il concerto giocano a svegliarci: quando il pubblico esce dall'effetto anestetizzante della musica in radio e della TV si trova a dover partecipare, a svolgere un ruolo attivo: è per questo motivo che, spesso, le persone percepiscono la musica classica e il jazz come attività impegnative, come qualcosa di pesante: perché devono partecipare, ecco perché.
Perché la musica acquista senso se crea vita dentro di noi, se ci fa reagire. La musica new age, il pop della radio come la telenovela e la fiction giocano a non impegnarti.
La TV e internet ci hanno totalmente assuefatto all'utilizzo della vista che pensiamo di non percepire nulla se non vediamo. Oggi san Tommaso non chiederebbe a Gesù di poter mettere il dito nelle sue piaghe. Si accontenterebbe di vederle. Come dice Daniel Barenboim in un suo libro, quando attraversiamo la strada la prima cosa che facciamo è guardare, non ci viene in mente di porgere l'orecchio e percepire il suono del motorino.
L'idea che per capire la musica si debba per forza possedere un certo bagaglio culturale è una furbata, spesso è una scusa per pigri, o una medaglia acquisita sul campo per chi crede di essere fra quelli che la 'capiscono'. Avere gli strumenti per godere della musica non significa conoscere né l'armonia né l'epoca in cui è stata scritta né il retroterra culturale del compositore, ma riconoscere qualcosa che abbiamo dentro e che risuona"

In libreria: Stefano Bollani, "Parliamo di musica" (Mondadori, pagg. 146, rilegato, euro 17)

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