martedì 5 marzo 2013

L'industria della carità




"Ho sentito operatori umanitari vantarsi di aver 'sfruttato bene' la situazione creata da una crisi locale per raccogliere fondi (...). Ho spulciato i bilanci delle associazioni benefiche (quando è stato possibile, in Italia curiosamente non esiste l'obbligo di renderli pubblici) per capire che fine facciano i nostri (vostri) soldi. Ho scoperto che alcune associazioni accantonano liquidità proprio come fanno le aziende. Ho appreso che talvolta pagano i loro vertici come i top manager delle multinazionali. (...) Ho capito che la povertà è un prodotto che viene venduto come altri prodotti, promuovendo costose analisi di mercato, organizzando campagne stampa, sbattendo spesso il volto di un bambino, preferibilmente affamato o sfigurato o impaurito, sullo schermo di un televisore o a tutta pagina su un quotidiano"

Valentina Furlanetto, "L'industria della carità. Da storie e testimonianze inedite il volto nascosto della beneficenza" (Chiarelettere, pagg. 256, prefazione di Alex Zanotelli, euro 13,90)


"Per salvaguardare oceani, balene, foreste, ambiente Greenpeace Italia ha utilizzato 2 milioni 349.000 euro, meno di quanto spenda per pubblicizzarsi e cercare nuovi iscritti: 2 milioni 482.000 euro (dati Bilancio 2011)"

Questo libro racconta un mondo, quello della solidarietà, di cui non si sa abbastanza. Tra sms che salvano, adozioni a distanza, partite del cuore, campagne televisive, azalee e arance benefiche, quanti milioni di euro raccolti arrivano a chi ha bisogno? La risposta che viene fuori dalle testimonianze di cooperanti italiani e internazionali e dai più recenti dati di bilancio (quando sono disponibili: in Italia non c'è l'obbligo di pubblicare un vero e proprio bilancio economico-finanziario) è che tra profit e non profit c'è ormai poca differenza. Migliaia di associazioni sono in lotta una contro l'altra per i fondi, quelle più grandi spendono milioni per promuoversi e farsi conoscere, intanto le più piccole sono schiacciate dalla concorrenza. Gli stipendi dei manager del settore non profit sono ormai uguali a quelli delle multinazionali. Ma i soldi non sono che una parte della questione, c'è molto altro da sapere. Che fine fanno i vestiti che lasciamo ai poveri? Come funziona il sistema delle adozioni internazionali? E il commercio equo e solidale? 

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