giovedì 9 maggio 2013

Edgardo Franzosini. Sotto il nome del cardinale




Edgardo Franzosini, "Sotto il nome del cardinale" (Adelphi, pagg. 172)

Ripamonti, chi era costui? Un nome che alle orec­chie dei più non dice granché; o forse risveglia una vaga eco, persa nella nebbia dei ricordi scolastici: una delle fonti dei Promessi sposi (in verità  la prima e la più importante): Giuseppe Ripamonti (1573-1643), presbitero e storico, dottore della Biblioteca Ambrosiana, autore della 
"Historia Ecclesiae mediolanensis" e del "De peste mediolani quae fuit anno 1630". 

Edgardo Franzosini ricostruisce in questo libro la storia di Giuseppe Ripamonti, e indaga sui reali motivi per i quali, dopo essere stato un protégé di Federico Borromeo – che lo no­minò Dottore del­l’Ambrosiana e lo accolse nel palazzo arci­ve­scovile –, il Ripamonti subì, pro­prio da parte del Cardinale, una «fiera per­secuzione», co­stata quat­­tro anni di carcere duro.
Scavando negli archivi, spulciando fra i testi, rileggendo ogni sorta di docu­menti, Franzosini ci svela a poco a poco una verità diver­sa da quella del­le carte proces­suali, che parlano di magia e stre­go­neria, libri proibiti e insubordi­­nazione (e ac­cennano persino al «peccato nefando» di sodo­mia): che al­l’origine di tutto ci sia (come scri­ve dal car­cere lo stes­so Ripa­mon­ti) un «fatto mirabi­le, in­cre­di­bi­le», o piut­tosto «or­ribil e atroce», il fatto cioè che esi­sta­no signori i qua­li «aspi­rano a guada­gnarsi fama im­mor­tale con lavori faticati da mani che non sono le lo­ro, ed ai qua­li ap­pongono il proprio no­me». Anche se si tratta di un nome santo come quel­lo dello stesso Federico Bor­romeo.


Di seguito una recensione al libro uscita su La Repubblica di oggi (da La Repubblica - ROBERTO CICALA- 09-05-2013):
"  RIPAMONTI, IL GHOSTWRITER DEL CARDINALE FEDERIGO - L’INQUISIZIONE LO CONDANNÒ E IMPRIGIONÒ
Il rapporto tra Borromeo e il suo scrivano è ricostruito in un libro di Edgardo Franzosini
«FARE di Milano la seconda Roma» è l’aspirazione del cardinal Federigo con la Biblioteca Ambrosiana che Manzoni dice ideata «con sì animosa lautezza». Sono trascorsi 400 anni da quando il Borromeo, intorno alla prima biblioteca pubblica al mondo, crea quadreria, scuola d’arte e, nel 1613, collana editoriale e stamperia, trampolino per un suo salto nella fama di scrittore. Lo testimoniano lettere tra il cugino di san Carlo e i “Dottori” dell’istituzione: «consegne», «ritardi» e «approvazioni» dipendono sempre da un tale Ripamonti. Chi era costui? I lettori dei Promessi sposi ricordano dai tempi di scuola che una sua Historia è tra le fonti del romanzo, per esempio per la monaca di Monza. Ma lo storico è anche protagonista di una «fiera persecuzione» costata quattro anni di carcere: lo sanno i frequentatori d’archivi come Edgardo Franzosini cui si deve l’avvincente ricostruzione, alla Sciascia, della parabola di un’intellettuale che soccombe Sotto il nome del Cardinale. Così s’intitola il libro (Adelphi, pp. 172, euro 12) dedicato al «familiare» del Borromeo finito in disgrazia. Perché? Lo stesso Federigo, sorpreso del giovane brianzolo che sa latino ed ebraico («sembra allevato più tosto in Athena e Gerusalemme che in Lombardia»), lo accoglie nel seminario appena sorto alla Porta Orientale. Il chierico passa al Collegio dei gesuiti di Brera ed è scrivano di monsignori prima di essere ordinato prete. Ed è subito tra i nove “Dottori” dell’Ambrosiana, inaugurata mentre il cardinale decide di diventare scrittore accogliendo Ripamonti nel suo palazzo, «commensale al suo desco, compagno di lettiga» durante le visite pastorali. I curiali non lo amano rimproverandogli di non aver taciuto risvolti ecclesiali poco limpidi nella sua Storia patria. Dall’idillio al vade retro nel 1618: arrestato a Gropello, il tribunale dell’Inquisizione in S. Maria delle Grazie lo condanna per «non aver creduto la canonizzazione di san Carlo, aver letto libri proibiti e aver persino prevaricato di sodomia». Come può il cardinale permettere tanto per il fido collaboratore? Manzoni conosce la risposta avendo letto due sue probabili lettere consultate presso il collezionista Carlo Morbio. Sono sorprendenti: in esse parla di «signori che aspirano a guadagnarsi fama immortale con lavori faticati da mani non loro, ai quali appongono il proprio nome». Del cardinale, a dispetto del motto «humi-litas », dice che «invaghitosi della fama di scrittore latino, et avendo in ciò adoperata l’opera mia… vuole ch’io sia morto prima di lui; et debbo morire se Dio non fa qualche miracolo». Un mezzo miracolo avviene: il Borromeo gli invia nella cella «tenebrosa» i primi libri con «tanto di penna, carta ed inchiostro» e un po’ di luce che basta per «il rifacimento degli scritti altrui», quell’attività di ghostwriter, scrittore fantasma per conto terzi, sua fortuna e rovina. Torna agli «esecrandi lavori di traduzione e rifusione», ospite forzato nel palazzo dell’arcivescovo, «carico di doloroso, indicibile rancore» annota Franzosini. Alla Porta Orientale, dove ha iniziato il suo cammino, compaiono nel ’29 i primi segni della peste, spunto per un libro suo e uno del cardinale scrittore che muore l’anno dopo. Ripamonti gli sopravvive e cerca di riprendersi la salute nella nativa Brianza, a Rovagnate. Dovrà aspettare la morte per una fama riparatrice nei Promessi sposi. Qui Manzoni fa capire di conoscere quanto il cardinal Federigo fosse «ammirabile in complesso» ma senza che in lui «ogni cosa lo fosse ugualmente».   "

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