venerdì 3 maggio 2013

Wu Ming1-Roberto Santachiara. Point Lenana




Wu Ming 1 - Roberto Santachiara, "Point Lenana" (Einaudi, pagg. 604)

È il gennaio del 2010 quando Wu Ming 1 parte per il Kenya. La destinazione precisa è il Mount Kenya National Park. L’obiettivo del viaggio, salire in cima al monte Kenya. Con lui c’è il suo agente Roberto Santachiara, Cecilia – moglie di Roberto -, la guida Mike Rukwaro Mwai e i suoi sei assistenti, tutti gikuyu. Delle tre cime del monte Kenya, quella prescelta è la più «semplice»: Punta Lenana, con i suoi 4985 metri sopra il livello del mare, è l’unica che si raggiunge camminando.
Se i suoi compagni di viaggio sono già esperti camminatori d’alta quota, Wu Ming 1 non ha mai superato i 1000 metri. Non sa nulla di alpinismo, non è allenato, non ha nessun particolare interesse per la montagna. Ma allora perché è li?
È Santachiara a custodire la ragione di quel viaggio: una storia - o meglio «un rizoma di storie», come racconta lo stesso Wu Ming 1 su Giap – che si avvolge attorno a quella montagna attraverso un secolo, e che ha come nucleo l’impresa di tre prigionieri di guerra italiani: Felice Benuzzi, Giovanni Balletto e Vincenzo Barsotti. Era il 1943 quando evasero dal campo britannico di Nayuki per scalare il monte Kenya. Proprio così: il loro scopo non era fuggire, ma raggiungere Punta Lenana, ridiscendere e riconsegnarsi agli inglesi. I preparativi durarono mesi, durante i quali i tre costruirono da soli l’attrezzatura. Senza l’aiuto di cartine, con l’unico vaghissimo riferimento dell’immagine della montagna stampata su un barattolo di conserva, attraversarono la foresta e stanchi, denutriti, sfibrati dalla prigionia, cominciarono la scalata. Quell’impresa è raccontata da Benuzzi in un libro – o forse due, ed è solo uno dei «misteri» che circondano la sua storia – celebre in Inghilterra e quasi sconosciuto in Italia: No Picnic on Mount Kenya. Ed è sulle tracce di quel libro che decide di muoversi Santachiara quando chiede a Wu Ming 1 di accompagnarlo sulla cima del Kenya. Inesperto, fisicamente impreparato, a digiuno di montagna, è lui il compagno ideale: perché Santachiara immagina un libro, e vuole che a scriverlo sia qualcuno costretto a provare una sensazione almeno simile a quella dei tre prigionieri italiani. Che erano, sì, camminatori esperti, ma avevano compiuto la scalata in pessime condizioni fisiche. Quello che ne sarebbe venuto fuori – Santachiara l’aveva intuito – sarebbe stato un libro di montagna diverso da tutti gli altri libri di montagna, e un libro di Wu Ming diverso da tutti gli altri libri di Wu Ming. Perché «non ci si pensa mai, ma scrivere è un atto fisico, è un’azione del corpo. Quello che scrivi dipende dalla postura che assumi, da come il tuo corpo interagisce con lo spazio intorno. Se metti alla prova il corpo metti alla prova la scrittura. Scrivere appunti su un taccuino mentre arranchi verso la vetta di una montagna è un’azione che ti fa correre un rischio, potresti distrarti, cadere, romperti una gamba o peggio. – Racconta Wu Ming 1 a Lorenzo Filipaz. - Se, addirittura, è la primissima volta che scali una montagna, lo scrivere si accompagna a posture mai assunte, movimenti che il corpo non aveva mai compiuto. Per me è stato così: gli appunti che ho preso sul massiccio del Kenya, marciando a corto d’ossigeno, o in uno dei rifugi dove abbiamo dormito, o seduto su un lastrone di basalto, circondato da iraci che saltellavano sulle rocce, contengono concatenamenti di immagini che, riletti a mente fredda, hanno sorpreso anche me».
Point Lenana comincia sulla vetta del Kenya, poi torna indietro e si muove avanti e indietro nel tempo e nello spazio, tiene al centro la biografia di Felice Benuzzi ma attraversa 102 anni di Storia e racconta degli italiani in Africa e degli sloveni a Trieste, racconta storie di alpinismo e di irredentismo, dai fascismi di ieri e di oggi ma anche della lotta partigiana e di altre resistenze. Racconta anche dei due autori, del loro rapporto con la montagna e con la narrazione. Che lo si voglia definire un UNO (nel senso di unidentified narrative object), un libro di jazz modale o semplicemente un «racconto di tanti racconti», Point Lenana è, come scrive Lorenzo Filipan nell’introduzione alla sua intervista, «un’opera che rompe salutarmente gli schemi, saltando steccati di genere, di stile e di mercato editoriale».

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