martedì 11 giugno 2013

Leviatano ovvero la balena



Philip Hoare, "Leviatano ovvero la balena" (Einaudi, rilegato, pagg. 431)

Partendo di volta in volta da un aneddoto, una storia, un ricordo personale, una pagina di libro epico o sacro, un esperimento scientifico o una esplorazione geografica, l'inglese Philip Hoare (1958- ) ricostruisce e racconta il mondo delle balene, da Giona a Pinocchio, dal Leviatano di Hobbes al Moby Dick di Melville fino al whale watching e alla storia della caccia alla balena negli ultimi decenni.  

«C'è mancato poco che nascessi sott'acqua»: poco prima del termine della gravidanza i genitori di Philip Hoare visitano un sottomarino, e mentre la madre sta scendendo la scaletta per andare sottocoperta è presa da improvvise doglie e rischia di far nascere il figlio sotto il pelo dell'acqua. Forse è questo curioso incidente il motivo della personale passione dell'autore per le balene e i cetacei in genere. O forse, e piú semplicemente, anche lui è preda della seduzione di questi maestosi sovrani del mare, «mostri» che da sempre affascinano l'uomo e che hanno lasciato traccia nelle opere d'arte, nei romanzi, nelle favole e nei sogni. Sono creature bellissime ma anche aliene, capaci di incarnare gli aspetti piú brutali e misteriosi della natura e di rappresentare appieno l'«altro da noi».
Una balenottera, ad esempio, ha il cervello piú grosso del mondo, un cuore che batte dieci volte in un minuto e una fisiologia meravigliosamente adattata alla vita marina, tanto che non ha bisogno di bere acqua dolce. Le balene sono state miniere di materie prime, in grado di soddisfare quasi tutti i nostri bisogni: le loro interiora si sono trasformate in corde di racchette, corsetti per signore, tasti di pianoforte; l'olio di balena si trovava nella margarina, nel linoleum e nel sapone, e prima dell'avvento dell'elettricità, ha illuminato per anni le notti dell'uomo. I cetacei erano simboli di ricchezza e potere: la corona britannica era consacrata con l'olio di balena, e un dente di balena istoriato con il sigillo presidenziale accompagnò Kennedy nel suo ultimo viaggio. La moglie l'aveva acquistato come regalo, ma il presidente non fece in tempo a vederlo e la sera prima del funerale Jacqueline lo mise nella bara del marito. Un gesto d'affetto e dal forte valore simbolico, che rimandava ai re medievali sepolti con i simboli del potere, come talismani che riflettevano il valore di chi li aveva posseduti.

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