venerdì 16 agosto 2013

Edna O'Brien. Ragazze di campagna



Ho letto ieri con grande piacere, e consiglio, questo romanzo del 1960 della scrittrice irlandese Edna O'Brien ("la più grande scrittrice vivente in lingua inglese", secondo Philip Roth), riproposto quest'estate da Elliot Edizioni con nuova traduzione di Cosetta Cavallante (Elliot, pagg. 256). Ai tempi fu incredibilmente messo all'indice e in Irlanda bruciato sul sagrato delle chiese, incredibilmente perché è un elegante romanzo di formazione femminile con linguaggio decisamente sobrio e pudico. Colgo naturalmente gli spunti antiecclesiastici nella narrazione dell'esperienza in convento delle due protagoniste, ma certamente esistevano già in re e appaiono tutt'altro che forzati, anzi visti con occhio ironico e tutto sommato leggero (non è "Magdalene", film che vidi nel 2002 a Milano con l'amico Enrico, quando uscì al cinema). Pregevole il racconto del passaggio dalla campagna alla città (Dublino) così come vissuto dalle ragazze. Inaspettato il finale, che comunque resta aperto. "Ragazze di campagna" è infatti il primo capitolo di una trilogia, che prosegue con "La ragazza sola" e "Ragazze nella felicità coniugale", entrambi al momento fuori catalogo (bene aver riproposto "Ragazze di campagna", ora attendo la ristampa degli altri due titoli della trilogia, altrimenti l'operazione ha poco senso).

La timida e romantica Caithleen sogna l’amore, mentre la sua amica Baba, sfrontata e disinibita, è ansiosa di vivere liberamente ogni esperienza che la vita può regalare a una giovane donna. Quando l’orizzonte del loro piccolo villaggio, nella cattolicissima campagna irlandese, si fa troppo angusto, decidono di lasciare il collegio di suore in cui vivono per scappare nella grande città, in cerca d’amore ed emozioni. Nonostante siano fermamente decise a sfidare insieme il mondo, le loro vite prenderanno però vie del tutto inaspettate e ciascuna dovrà imparare a scegliere da sola il proprio destino

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