mercoledì 27 novembre 2013

Coetzee. L'infanzia di Gesù



John Maxwell Coetzee, "L'infanzia di Gesù" (Einaudi, rilegato, pagg. 256)

Un uomo adulto, quasi anziano, e un bambino sbarcano a Novilla. Novilla non è la loro città, lo spagnolo non è la loro lingua: ma come tutti gli abitanti della città, con cui condividono il misterioso destino, vi sono giunti dopo un viaggio in mare e non conservano nessun ricordo delle loro vite precedenti. Non sanno da dove vengono, a chi erano legati, quale evento catastrofico li ha condotti fin lí come profughi; non lo sanno e sembra che nemmeno abbia piú importanza. C'è solo una cosa che Simón, l'uomo, sa: deve prendersi cura di questo bambino che ha conosciuto sulla nave, deve accudirlo anche se non è suo figlio, anche se nulla lo lega a lui. Anche se Davíd si dimostra presto un bambino molto particolare. E sa che deve aiutarlo a ricongiungersi con la «madre». Quando il romanzo sembra essere giunto ai limiti estremi del suo esaurimento, arrivano scrittori come J. M. Coetzee a mostrare che tutto è ancora possibile: è come se il Nobel sudafricano prolungasse la linea che da Kafka passa per Beckett e ne facesse gemmare le possibilità per il mondo del nuovo millennio e le sue inquietudini. L'infanzia di Gesú è allo stesso tempo una riflessione radicale e profondissima sul mistero dell'umano, sul conflitto tra desiderio e felicità, tra Storia e Salvezza, una perturbante interrogazione su come dobbiamo vivere e se mai saremmo in grado di riconoscere il Messia se arrivasse oggi. 

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