"Vita e morte di un ingegnere" di Edoardo Albinati (Mondadori, pagg. 150, rilegato, euro 18).
Bellissimo e commovente ricordo della vita e soprattutto della morte di un uomo, il padre di Albinati. I nove mesi di malattia, il cinismo dei medici, i silenzi, tutto il non detto di una vita che torna a galla, l'incapacità di chi ha trascorso l'esistenza sul lavoro e per il lavoro di soffrire e morire abbandonandosi alla pietà e alle lacrime degli altri, togliendosi almeno per una volta, almeno alla fine, la maschera granitica del gran lavoratore, uomo d'affari e ingegnere.
"Non l'ho mai sentito lamentarsi per un lavoro gravoso, per una giornata pesante. Se penso che a me basta un paio d'ore di un qualsiasi impegno per prosciugare le mie forze, mi viene da chiedermi attraverso quali fessure e per quali rivoli si sia dispersa, trasmettendosi di padre in figlio, quella preziosa energia (...) mentre mio padre schiacciando una dopo l'altra un incredibile numero di sigarette del monopolio in fondo ai posacere del suo ufficio e della sua automobile, macinava il tempo del lavoro con vorace determinazione, mitragliava sopralluoghi, appuntamenti, incontri e scontri, e laddove il lavoro sembrava esaurirsi, lui se ne creava dell'altro inventandosi difficoltà, improvvisi inceppi nell'andamento dei suoi affari, guai simulati e problemi virtuali, tanto per aver del materiale da gettare nella caldaia del suo inarrestabile motore"
"(...) Sai, pensavamo che alla fine si sarebbe tolto quella maschera, ce lo aspettavamo, cambierà, non può conservare questo atteggiamento di autocontrollo sino alla fine, lo aspettavamo tutti e per prima mia madre, invece quella maschera se l'è premuta sul volto sino alla fine, fino all'ultimo istante, nessuno ha potuto strappargliela, è morto con la maschera".
Nessun commento:
Posta un commento