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venerdì 22 giugno 2012
Figli perduti. I bambini nel dopoguerra
Tara Zahra, "I figli perduti. La ricostruzione delle famiglie europee nel secondo dopoguerra" (Feltrinelli, pagg. 384, euro 30)
Alla fine della seconda guerra mondiale (la più grande "guerra contro i bambini" della storia dell'umanità), nel 1946, i bambini rimasti senza casa erano 8 milioni in Germania, 6 milioni e mezzo nell'Unione Sovietica, un milione e trecentomila in Francia. Un numero senza precedenti di minori era rimasto orfano o era stato separato dalla propria famiglia, peraltro in un'epoca anteriore all'esame del dna, nella quale l'identificazione dei figli e i ricongiungimenti familiari erano rari e difficili. Milioni di bambini ereno dispersi e separati dalle loro famiglie, erano passati per i campi di concentramento, o per orfanatrofi e campi profughi, molti erano lontani dalla patria, adottati o sfollati. Passata la guerra, come affrontarono questa emergenza epocale i governi occcidentali? Quali politiche per l'infanzia adottarono? Quali politiche demografiche e migratorie? Come si pronunciarono e quali soluzioni proposero educatori, psicologi e operatori sociali della diverse nazioni?
"Il processo di ricostruzione delle famiglie lacerate dalla guerra non poteva limitarsi a una semplice restaurazione della 'normalità' prebellica: si trattò di una fase in cui si dovettero reinventare gli ideali fondativi della famiglia e dell'infanzia. (...) Gran parte delle nostre concezioni di base sulla natura del trauma infantile ha avuto origine nel contesto della seconda guerra mondiale e dei suoi postumi; lo stesso si può dire a proposito delle idee attuali su quanto contribuisce ad assicurare un felice sviluppo dei primi anni di vita o un ambiente familiare sano"
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