mercoledì 12 settembre 2012

Sacrificio nella steppa




"Ancora oggi ci si chiede: come è stato possibile che così tanti giovani siano andati in Russia a morire combattendo contro un popolo contro il quale non avevano niente?"

Hope Hamilton, "Sacrificio nella steppa. La tragedia degli alpini italiani in Russia" (Rizzoli, pagg. 470, rilegato, immagini, euro 21)

Un libro importante che racconta il dramma dei soldati italiani in  Russia durante la Seconda guerra mondiale.
Quando l'Italia entrò in guerra nel giugno del 1940, Mussolini disse a Badoglio: "ho bisogno soltanto di qualche migliaio di morti da gettare sul tavolo delle trattative". Nella sola campagna di Russia i morti italiani furono 120.000. Precisamente: partirono in 220.000 soldati e tornarono a casa in 100.000. Gli altri morirono in battaglia, o per la fame e il gelo durante la ritirata, o per le condizioni disumane patite nei campi di lavoro e di rieducazione.
Mandati completamente allo sbaraglio con armi nel migliore dei casi risalenti alla Prima guerra mondiale (ma talvolta anche fucili dell'800), giravano con i muli per centinaia di chilometri lungo le pianure ucraine verso il Don, con temperature fino a quaranta gradi seguite da piogge torrenziali, mentre i tedeschi avevano circa un carro armato ogni quattro soldati. Nulla sapevano della Russia e dei russi, tendevano semmai a simpatizzare con le popolazioni locali e rimanevano sconvolti dalla brutalità dei nazisti contro ebrei e russi. E nemmeno avrebbero dovuto essere lì, dato che Hitler aveva chiesto a Mussolini di mandare rinforzi in Africa e di lasciar perdere la Russia. Ma il duce si intestardì perché credeva che Hitler avrebbe conquistato rapidamente la Russia e voleva sedere al tavolo della trattative con "qualche migliaio di morti da spendere".

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