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giovedì 8 novembre 2012
Franzen: Più lontano ancora
"A volte sembra che le isole servano soprattutto a custodire il nostro sogno di solitudine. Quando però le raggiungiamo capiamo anche un'altra cosa: che dalle isole bisogna fare ritorno alla terraferma e lasciarsi alle spalle la rabbia, il dolore, la perdita che ci hanno condotti fin lì"
Jonathan Franzen, "Più lontano ancora" (Einaudi, pagg. 308, rilegato, euro 19,50)
Nel Pacifico meridionale, a ottocento chilometri dalla costa del Cile, c'è un'isola vulcanica dalle inaccessibili pareti verticali, lunga undici chilometri e larga poco più di sei, popolata da milioni di uccelli marini e da nessun essere umano. Si chiama Masafuera ("piú lontana").
Spinto da quell'inquietudine che solo certi viaggi riescono a placare, Jonathan Franzen, qualche mese dopo l'uscita (2010) di "Libertà" (capolavoro che consiglio di leggere: Einaudi, pagg. 622, euro 14), decide di raggiungere Masafuera e trascorrervi alcuni giorni. Insieme a lui soltanto una tenda, un GPS presto inutile, una copia di "Robinson Crusoe" e le ceneri dell'amico David Foster Wallace (lo scrittore, morto suicida il 12 settembre del 2008). Nella solitudine - non priva di avventurose e quasi mortali complicazioni - Franzen farà i conti con ciò che lega l'isolamento e il romanzo (il genere che insegna "come stare soli"), la modernità tecnologica con la sua valanga di stimoli superflui e la noia quale passaggio indispensabile per trovare se stessi. Ma farà anche i conti con il lutto, la perdita e la necessità, dolorosa, di parlare con i propri fantasmi: "la mia attuale fuga da me stesso era cominciata poco dopo la morte di David Foster Wallace, due anni prima. All'epoca avevo deciso di non affrontare l'orribile suicidio di una persona che amavo tanto, e avevo preferito rifugiarmi nella rabbia e nel lavoro".
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