venerdì 3 maggio 2013

Frederick Rolfe. Adriano VII




Pubblicato per la prima volta nel 1904, da allora oggetto di un vero e proprio culto, riproposto ora da Beat-Neri Pozza nel centenario della morte dell'autore (Beat, pagg. 384), "Adriano VII" è un romanzo che, come tutte le grandi opere, si presta a infinite interpretazioni: può essere visto come una profetica anticipazione dei totalitarismi del Ventesimo secolo, come il libro di un impudente profanatore (secondo Giorgio Manganelli la Chiesa era, per Rolfe, il luogo da profanare, dato che solo Iddio poteva dargli l’indirizzo del Diavolo), come l’estremo, meraviglioso frutto di un’esistenza eccentrica.

In un freddo giorno di marzo dei primi anni del Novecento, George Arthur Rose, vestito col suo prediletto abito di tela blu simile a una tuta da meccanico, si aggira come un recluso tra le pareti della sua casa londinese. Consumato da anni di speranze non soddisfatte, smarrito dinanzi alla rovina del mondo («Le antiche monarchie legittime sono dovunque in declino, e Demos è pronta ad inghiottirle nelle sue fauci vili», ama dire al suo gatto, declamando D’Annunzio), vive nella povertà più assoluta, non confortata da alcuna sacerdotale parvenza di santità. George Arthur Rose è un prete mancato. Per oscure ragioni – invereconde calunnie, atroci oltraggi, secondo lui, di giovinetti immaturi – è stato brutalmente espulso dal Saint Andrews, il Pontificio Collegio Scozzese di Roma.
Bandito dalla Chiesa cattolica, come una spina, una peste, un’ulcera corrosiva e purulenta, Rose ha reagito abbracciando di proposito la sua nefasta fama: si è messo a posare a genio altero, sottile, dotto, inaccessibile. Lui, un uomo che la divina Vocazione spingerebbe a essere attivo e possente, ridotto a languire in bizzarre e stupide pose!
George Arthur Rose non sa, tuttavia, che questo freddo giorno di marzo è, in realtà, il giorno del suo trionfo. Al suo misero cospetto appariranno tra un po’ due uomini di Chiesa gravi e importanti, un vescovo robusto coi capelli scuri, e un cardinale coi capelli bianchi e l’aspetto pittoresco. Verranno a omaggiarlo come esperto conoscitore degli annali dei conclavi, gli diranno che il conclave in corso per eleggere il nuovo successore di Pietro è stato misteriosamente rinviato e gli chiederanno di accettare gli ordini sacri, senz’altro indugio che quello voluto dalle leggi canoniche.
Di lì a poco le imperscrutabili vie della Provvidenza schiuderanno l’impensabile: dopo un’ulteriore seduta del conclave in cui l’intransigenza e l’equivalenza delle fazioni vieteranno una nomina regolare, il collegio dei «Compromissari» eleggerà sul soglio di Pietro proprio lui, George Arthur Rose, l’antico reietto, che prenderà il nome di Adriano VII e, più inflessibile di Bonifacio VIII, salverà l’Europa dal caos e dall’anarchia e ridisegnerà i confini del mondo.

Frederick Rolfe nacque a Londra nel 1860. Convertitosi al cattolicesimo da giovane, dopo gli studi di teologia all’Oscott College e al Collegio Scozzese di Roma, da dove fu espulso «per oscure e sinistre ragioni», come scrisse Emilio Cecchi, cominciò la sua esistenza avventurosa, fatta di mille mestieri – fu fotografo, decoratore, insegnante, segretario del capo dei socialisti inglesi, pittore – e di intrighi, scandali e miserabili cadute. Nel 1913, a Venezia, dove, a giorni alterni, viveva nello sfarzo o nella povertà più assoluta (tutti coloro che l’incontravano, ha scritto Pietro Citati, avevano «l’impressione di conoscere un monaco medioevale, avvolto nel suo grande saio, e dedito a studi strani e solitari»), fu trovato morto nel suo letto. Scrisse racconti e romanzi, tra cui "Nicholas Crabbe" e "The Desire and Pursuit of the Whole", pubblicati con lo pseudonimo di Frederick Baron Corvo. "Adriano VII" è la sua opera maggiore, il romanzo in cui traspare da ogni pagina la sua inimitabile esistenza.

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