martedì 5 novembre 2013

Diogo Mainardi. La caduta



Diogo Mainardi, "La caduta" (Einaudi, rilegato, pagg. 160)

Diogo Mainardi ha scritto un libro straordinario sulla paternità, sulla felicità di essere padri e sull'amore suscitato dalla nascita di un figlio. Tito è nato tredici anni fa con una paralisi cerebrale, a causa del terribile errore di un medico, in un ospedale di Venezia. Quando la disabilità è stata diagnosticata, Diogo ha vissuto una settimana di «angoscia e terrore». Poi è successo qualcosa. Sua moglie Anna è caduta inciampando in un tappeto, Tito si è messo a ridere, Diogo si è messo a ridere, Anna si è messa a ridere. «La comicità slapstick era un linguaggio che capivamo tutti. Tito cade. Mia moglie cade. Io cado. Ciò che ci unisce - che ci unirà sempre - è la caduta».
Diogo ha capito che Tito aveva bisogno di essere amato per quello che era, senza patetismi. Ciò che ci accomuna, «disabili» e «abili», è la caduta come categoria dello spirito: siamo nati come esseri in bilico, ognuno instabile a modo suo. Questo libro è dunque anche un'accusa formidabile contro il cliché della «normalità», contro la stupidità umana che affiora nel mondo in tempi diversi e in modi sempre nuovi, nel mito del corpo perfetto o peggio nell'eugenetica nazista. E poiché nei suoi primi anni Tito comunicava soltanto attraverso immagini, gesti, simboli e analogie, Diogo ha adattato il suo racconto al linguaggio del figlio. In un rovesciamento radicale di prospettiva, la storia universale viene letta attraverso la storia di Tito. Ed è come se, incrociando il cammino di Leopardi, Napoleone, Rembrandt, Proust, Josef Mengele e Neil Young, il passo barcollante del bambino sbilanciasse le certezze consolatorie su cui si fonda la nostra visione del mondo.

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