giovedì 24 aprile 2014

Ceronetti-Quinzio. Un tentativo di colmare l'abisso



GUIDO CERONETTI - SERGIO QUINZIO, "Un tentativo di colmare l'abisso. Lettere" (Adelphi, pagg. 448)

Nel 1983, recensendo "La rovina di Kasch" di Roberto Calasso, Guido Ceronetti co­sì descriveva la «banda neognostica» che formava la galassia Adelphi: «divergono le iniziazioni, i maestri, i cammini, le venerazioni; c'è tuttavia la comunione generica dei fini (salvarsi come scopo del pensiero, salvezza per mezzo della conoscenza), il saper godere di uno dei massimi piaceri mentali, quello di ripensare illimitatamente i pensieri, le dottrine trasmesse dai tempi, di abbandonarsi alla vertigine del commento, alla contemplazione pura dei testi, alla lettura non passiva, non distaccata, ma furiosa, grondante, implacabile, incessantemente creatrice».

È proprio sotto il segno delle divergenze, coesistenti però con la comune esigenza di una lettura insieme rigorosa e appassionata, che si apre e si chiude, nell'arco di ventotto anni, l'a­micizia epistolare tra Ceronetti e Quinzio: due adelphiani della prima ora. Due vite segnate dalla abissale contaminazione con il sacro e con la parola, da quella poetica a quella scritturale, che il carteggio restituisce in una policromia di sfumature e di rimandi serrati. Due fedi assolute, infrangibili, irriducibili: da un lato quella paolina, teologicamente «scandalosa», di Sergio Quinzio nella resurrezione della carne, nella consolazione finale; dall'altro quella, fi­losoficamente tenace, di Guido Ceronetti nel potere della gnosi. Due anime che, al di là di ogni contrasto, non cessano di interrogarsi e di ascoltarsi a vicenda, e non soltanto su argomenti teologici, ma anche sui grandi dibattiti che investono la società e la politica (l'aborto, il conflitto israelo-pale­stinese), fino ai problemi della vita quotidiana (la salute, il cibo, i traslochi). 

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