Quando Badoglio annunciò la firma dell'armistizio con gli Alleati, l'8 settembre del 1943, seicentomila soldati italiani si trovavano nei campi di prigionia inglesi e americani di tutto il mondo (anche lontanissimi dall'Italia, perfino alle Hawaii, in India, in Kenya, in Sudafrica). Isolati, abbandonati (Badoglio non negoziò alcuna clausola relativa ai prigionieri), la quasi totalità di essi divennero collaboratori degli Alleati rinnegando il fascismo. Con esiti talvolta grotteschi, se è vero come si racconta che nel campo kenyota di Nanyuki il colonnello Lo Bello rinnegò Mussolini gridando con entusiasmo «Viva il Re», solo che aveva il braccio teso del saluto romano. Alcuni - una minoranza - scelsero di non collaborare. Restarono fascisti, talvolta pagandola cara. Tra costoro anche Giuseppe Berto e Alberto Burri (finiti compagni di prigionia in Texas, poi rilasciati nel '46). Oltre a molti altri sui quali ovviamente è calata la damnatio memoriae dei libri di storia. Arrigo Petacco ricostruisce le loro storie nel suo nuovo libro "Quelli che dissero no". Mondadori, pagg. 176, rilegato, euro 19.
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