giovedì 16 febbraio 2012

Trattato poetico

"Trattato poetico" di Czesław Miłosz (1911-2004), il poeta polacco Nobel 1980 per la Letteratura (Adelphi, pagg. 118, ampio apparato di note a cura dell'autore, euro 16).
Esce per la prima volta in italiano questo poema (per lo più in endecasillabi) scritto da Miłosz tra l'inverno del 1955 e la primavera del 1956. Un poema che si delinea come un vasto "affresco storico-culturale del Novecento polacco", diviso in quattro parti: il mondo della belle époque nella Cracovia di inizio secolo; la vita politica e artistica di Varsavia tra le due guerre; le devastazioni della seconda guerra mondiale e gli orrori dell'occupazione nazista; l'ambiente degli Stati Uniti, in cui Miłosz, dopo aver vissuto l'abisso in cui sono precipitate le culture europee, individua la dimensione ideale per ritrovare serenità ed equilibrio.


"Quando ci strapperanno al nostro abbraccio,
spegnendo per sempre questa luce,
in quale Cielo potremo ritrovarci?
Al di là del mio cuore che si fermerà
e della mia parola che si bloccherà,
non conosco nè padre, nè figlio, nè casa.
Minacciava un cantante le nuvole sul ghetto,
io gettavo monete al poeta cieco,
resti il suo canto con me fino alla fine.
Per tutta la notte sul muro della cella
ho inciso la parola amore, volevo che durasse,
e che con la prigione corresse intorno al sole.
Battevo il tempo su una lattina vuota,
io che non sono, ma che ero stato
là dove la strada svoltava oltre il filo spinato.
La traccia che ho lasciato, un diario murato
nei mattoni. Forse un giorno verrà ritrovato,
il giorno della condanna o del perdono.
Terra di distruzione, terra d'odio,
nessuna parola potrà purificarla,
da lei non nascerà un simile poeta.
E anche se un poeta fosse stato chiamato,
all'ultima porta ci avrebbe accompagnato,
perché poteva trovarsi solo là,
nel ghetto in mezzo a quei bambini.
La goffa lingua dei contadini slavi
a lungo rime fruscianti ha elaborato
per intonare alfine un canto anonimo
che si sente ancor oggi nell'aria tremolante,
là dove fra le palme sibilano spume bianche,
e l'aquila pescatrice si tuffa tra le fredde
correnti del Labrador, aratro
di splendore tra gli abeti del Maine.
Semplice era quel canto. Un madrigale, un tempo
cantato alle donzelle,
con l'accompagnamento di una viola,
suonava nella bella stagione,
per la prima volta a ritroso. E questo è tutto".

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