mercoledì 23 maggio 2012

Timira. Romanzo meticcio



"Siamo tutti profughi, senza fissa dimora nell'intrico del mondo. Respinti alla frontiera da un esercito di parole, cerchiamo una storia dove avere rifugio"


Wu Ming 2 - Antar Mohamed, "Timira. Romanzo meticcio" (Einaudi, pagg. 534, euro 20)


Romanzo "meticcio" di Wu Ming 2 (Giovanni Cattabriga, membro del collettivo di scrittori Wu Ming) e del mediatore italo-somalo Antar Mohamed. Il romanzo è "meticcio" perché meticci sono gli autori (un italiano e un somalo), meticcia è l'ambientazione (tra Italia e Somalia), meticcia è la scrittura (che mescola ricordi diretti della protagonista, materiali d'archivio e fiction), meticcia - soprattutto - è la protagonista, l'italo-somala Isabella Timira Marincola (1925-2010, madre di Antar). Il libro è il racconto della vita di Timira a partire dai suoi ricordi. La nascita da madre somala e padre italiano, le frustate della matrigna che vedeva in lei ogni giorno il tradimento del marito con una donna nera, la tragica fine del fratello Giorgio, partigiano ucciso il 4 maggio 1945 a Stramentizzo, in una delle ultime stragi nazifasciste in Italia. Poi il dopoguerra, il lavoro di modella, le avance di artisti e uomini dello spettacolo, la mentalità e lo stile dell'epoca con cui fare i conti (Montanelli la definì "una scimmia"), la parte della mondina nera accanto a Silvana Mangano in "Riso amaro", il capolavoro del neorealismo di Giuseppe De Santis (1949), il ritorno in Somalia negli anni '60, lo stato di anarchia dell'Africa postcoloniale, la guerra civile scoppiata nel 1991, gli ultimi anni vissuti da anziana profuga in Italia.


"È la primavera del 2003 quando, nel parco di una clinica per malattie mentali, Wu Ming 2 sente parlare per la prima volta di Isabella Marincola. A pronunciare questo nome è l’educatore che assiste un uomo ricoverato nella clinica, lo stesso che Wu Ming 2 va spesso a trovare. L’educatore che assiste il suo amico si chiama Antar Mohamed, è un nome arabo, ma lui è somalo, nato e cresciuto a Mogadiscio sotto il regime di Siad Barre. Quando incontra Wu Ming 2 è in Italia da vent'anni, e da poco più di dieci è riuscito a riportarci anche sua madre: Isabella. Quel giorno, nel parco, ha con sé una cartellina rossa: dentro ci sono tre documenti: una fotocopia di due articoli tratti da «Il Sofà, periodico di immigrazione in Emilia Romagna», uno si chiama «Un italiano nero», l’altro «La negretta del cinema italiano». C’è poi una relazione sull’attività del «tenente nero Mercurio», Giorgio Marincola, e un volantino che dice: «Nell’anniversario della liberazione dal nazifascismo, mentre siamo qui per protestare contro il Lager etnico di via Mattei, vogliamo ricordare Giorgio Marincola attraverso la testimonianza di sua sorella (una signora ultrasettantenne che abita a Bologna)…». Sedici fogli A4, di cui quindici e mezzo raccontano la storia di Giorgio, partigiano con la pelle nera. «Come in un depistaggio studiato ad arte», scrive Wu Ming 2. Perché tutto, lì dentro, fa pensare che l’unica storia che meriti di essere raccontata sia quella di Giorgio e della sua militanza nella Resistenza italiana, e che Isabella sia solo una comparsa. Lei stessa, da quando Giorgio muore, non fa altro che battersi perché la sua vicenda non sia dimenticata. Wu Ming 2 porta a casa quelle carte, le studia: sa che si trova davanti a una storia importante, ma non capisce cosa c’entri lui, «cosa voglia quella storia da lui». Passano cinque anni, è il 2008. Carlo Costa e Lorenzo Teodonio pubblicano il libro Razza Partigiana. Storia di Giorgio Marincola. «Antar me lo ha portato a casa pochi giorni prima che uscisse, alla fine di aprile del 2008. Leggendolo ho capito finalmente che cosa volesse da me quella storia, incontrata cinque anni prima sotto un cedro del Libano, nel parco di una clinica per malattie mentali». Nel momento in cui la storia di Giorgio Marincola è stata finalmente raccontata, diventa possibile guardare oltre. Ci riesce Wu Ming 2, che dopo cinque anni capisce cosa c’era per lui nella cartellina rossa, ci riesce Isabella, che ora può ricordare, raccontare oltre quella che era ormai una specie di scudo, la storia che tutti volevano sentire. Può permettersi di raccontare la sua, di storia, più lunga, più marginale e altrettanto avventurosa. Proprio perché donna, meticcia, nera – e nel ’91/’92 pure profuga e “vecchia” – Isabella ha combattuto una resistenza non meno dura di quella con la R maiuscola. (...) Poi, è proprio così che è andata: un romanzo scritto insieme, una che dice «io», l’altro che dice «tu». Uno sbobina, l’altro corregge, uno ricerca, l’altro ricorda, uno inventa, l’altro contesta, uno legge, l’altro interrompe, uno scrive, l’altro riscrive. E poi ci si scambiano libri, film, articoli di giornale, si discute di politica, piedi gonfi, musica sinfonica ed eutanasia. Per due anni. Finché, il 31 marzo del 2010, Isabella muore. Ed è Antar, allora, che prende parte alla scrittura".

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