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martedì 26 giugno 2012
Nel tempo di mezzo. Marcello Fois
Marcello Fois, "Nel tempo di mezzo" (Einaudi, pagg. 270, rilegato, euro 20)
Libro eccezionale, giustamente entrato sia nella cinquina dello Strega che nella dozzina del Campiello, che meriterebbe di vincere. Il romanzo è il secondo atto della saga-trilogia dedicata alla stirpe dei Chironi (famiglia sarda cui Marcello Fois aveva già dedicato "Stirpe" nel 2009, e a cui dedicherà anche il prossimo romanzo). Il libro, comunque, è assolutamente leggibile anche come romanzo autonomo, senza dover prima necessariamente leggere "Stirpe". Per me è un capolavoro. Di certo il miglior romanzo che ho letto nel 2012 (sopra anche all'ottimo "Inseparabili" di Piperno, anch'esso finalista allo Strega; tra pochi giorni - il 5 luglio - sapremo chi vince).
Vincenzo cresce in orfanatrofio, a Trieste. E' figlio di un amore di guerra, tra una contadina friulana e l'eroe della Grande Guerra Luigi Ippolito Chironi. A ventisei anni, orfano e con in mano l'atto notarile che ne attesta l'appartenenza alla famiglia Chironi, sbarca in Sardegna per cercare il nonno Michele Angelo e la zia Marianna, a Nuoro. Siamo nell'ottobre del 1943, ma in Sardegna arrivano soltanto gli echi lontani della Grande Storia. In Sardegna non si combatte, ma è l'anno della fame e della malaria. I Chironi, lavoratori del ferro, sono tanto ricchi quanto "maledetti". Vittime di un ciclo quasi biblico - o tragico - di disgrazie famigliari, hanno perso negli anni, per i motivi più diversi, mariti e mogli, figli e nipoti. Restano soltanto l'anziano patriarca Michele Angelo e la figlia Marianna, chiusi nel loro muto dolore. Vincenzo si innamora della bella Cecilia, che però è già promessa sposa, e da qui ricomincerà tutto un nuovo ciclo di dolori, di grandezze e di tragedie nel "tempo di mezzo" che è quello della Sardegna, "una zattera in mezzo al Mediterrraneo" (il titolo indica sia l'ambiente e l'antropologia sarda del secondo dopoguerra, un mondo a sè stante, che non è più antico ma è ancora al di fuori della modernità, sia il tempo dell'esistenza umana, "un tempo sospeso a metà" tra il nulla prenatale e la sorte ultraterrena dopo la morte).
"Non era raro ormai che qualcuno lo segnalasse nel bar tale o nella bettola talaltra perché se lo andassero a prendere per portarlo a dormire, visto che con le sue gambe non sembrava in grado di farlo. (...) Che cosa lo spingesse a reagire in quel modo era chiaro, sarebbe stato chiaro a chiunque avesse avuto un po' di compassione. Ma la compassione è un sentimento a termine. Perciò si mutò ben presto in riprovazione. Vincenzo Chironi aveva avuto tutto, questo si diceva. Si era frantumato per l'unica cosa che non era riuscito a ottenere, e ciò non aveva niente a che fare con l'essere uomini. Bello com'era si stava trasformando: ventre gonfio, occhi pesti. E andava stempiandosi. (...) Eppure il lavoro procedeva, sostanziando in tutto e per tutto la maledizione dei Chironi che dovevano soffrire nell'abbondanza. Infatti per quanto fosse inaffidabile di sera, dopo due o tre bicchieri di troppo, Vincenzo era perfetto al mattino, acuto ed efficiente. (...) Era quello che poteva dirsi un padrone onesto. Un uomo retto. E aveva in corpo un dolore inestinguibile"
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