Giancarlo Lehner (con Francesco Bigazzi), "LENIN STALIN TOGLIATTI. LA DISSOLUZIONE DEL SOCIALISMO ITALIANO" (Mondadori, pagg. 368)
Nel 1919 il Partito socialista italiano era la principale forza del Paese, votata da un terzo degli elettori. Nel giro di soli due anni questo straordinario patrimonio politico andò disperso a causa dei contrasti tra la componente riformista e quella massimalista, culminati nella scissione di Livorno del 1921, che portò alla nascita del Partito comunista d'Italia. Una divisione drammatica, che trascinò verso il baratro tutte le forze democratiche, favorendo l'ascesa del fascismo.
Per spiegare le origini di quell'«errore irrecuperabile », Giancarlo Lehner, avvalendosi anche della documentazione inedita raccolta da Francesco Bigazzi, prende le mosse dal fronte sovietico.
Lontana dall'essere uno strumento di dibattito e confronto paritario, l'Internazionale Comunista, attiva dal 1919, si caratterizzò come semplice cinghia di trasmissione delle decisioni prese a Mosca. E fu proprio il Komintern a dare impulso alla scissione di Livorno che dilaniò il Psi. Incominciò così una lunga sudditanza verso il Kremlino del Partito comunista d'Italia, i cui massimi esponenti riparati in Urss, a partire da Togliatti, dovettero mostrarsi zelanti esecutori delle direttive sovietiche, anche attraverso la delazione di compagni di partito, per non rischiare di essere a loro volta vittime delle famigerate «purghe». In questo clima i comunisti italiani ed europei svilupparono una marcata ostilità nei confronti delle forze socialdemocratiche, verso coloro che venivano bollati come «socialfascisti » e «socialtraditori», considerati i veri nemici della rivoluzione e ritenuti spesso più pericolosi dei regimi nazifascisti verso cui non mancarono invece significative aperture.
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