In libreria: Max Hastings, "Vietnam. Una tragedia epica 1945-1975" (Beat, pagg. 946)La guerra del Vietnam è senza dubbio il conflitto che, dopo il 1945, ha esercitato la maggiore influenza sulla cultura del proprio tempo e su quella degli anni successivi. A quasi mezzo secolo di distanza, sono ancora vive nella memoria collettiva le immagini che ne fanno una guerra-simbolo del secondo Novecento: la foto, per esempio, del capo della polizia di Saigon che spara a un prigioniero vietcong durante l’offensiva del Tet nel 1968; quella della bambina che corre nuda urlando dopo essere rimasta vittima di un attacco con il napalm nel 1972; o la foto della scala su cui, la sera del 29 aprile 1975, vigilia della caduta di Saigon, i fuggiaschi salgono verso un elicottero come se stessero ascendendo al Calvario. Attraverso tali immagini si è radicata, in Occidente, la percezione dell’umiliazione subita in quel conflitto dagli Stati Uniti, la nazione più potente del pianeta, e del contrasto fra l’arte bellica di una superpotenza, con i suoi B-52, e quella di contadini che indossavano il cappello a cono di paglia o il casco coloniale e che per spostarsi si affidavano a sandali e biciclette. La guerra è costata più di due milioni di vite e, negli Stati Uniti, ha determinato la rovina di un presidente e la caduta di un altro. Ha prodotto, inoltre, una sterminata letteratura, e tuttavia mai è stata indagata come in questo monumentale libro.
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